È USCITO UN LIBRO CHE SPIEGA QUANTO FACCIA MALE ALLE RAGAZZE LA CULTURA DELLA BELLEZZA NELL'ERA DIGITALE

La forma più pura della bellezza va ricercata nelle camere da letto delle ragazze: quei luoghi-santuario dove, tra compagne fedeli, si discute dell'ultimo smalto scelto per le proprie unghie, decorato con precisione estetica da tonalità contrastanti e dettagli in rilievo, o nelle sfumature di rossetto da applicare sulle labbra, potenzialmente abbinabili a un paio di orecchini vintage o a qualsiasi altro articolo di un outfit costruito meticolosamente, con orgoglio e passione. Per molte, la bellezza è ancora (o è stata) tutto ciò, e probabilmente anche per Ellen Atlanta, almeno prima che compisse 23 anni. A quell'età, come racconta il Times, la scrittrice ora 28enne lavorava già da tempo e con successo nel settore del beauty. Il suo ruolo in azienda, tuttavia, aveva poco a che fare con la creatività e il divertimento che si sperimentano durante una sessione di trucco e capelli con le amiche, alcune ore prima di una festa tanto attesa: il suo obiettivo era quello di capitalizzare sulle insicurezze e sulle ossessioni altrui sfruttando le dinamiche che caratterizzano l'era digitale.

Di come e perché abbia lasciato il suo vecchio lavoro per dedicarsi alla scrittura critica, Atlanta ne parla in Pixel Face - How Toxic Beauty Culture Harms Women (2024), un saggio di memorie collettive pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti che, prendendo in prestito le parole di Arabelle Sicardi su Dazed, «ti porta nel proverbiale bagno femminile del mondo, esaminando i danni della cultura della bellezza all'interno dell' era digitale odierna»; poi ancora «in ogni studio di chirurgia estetica» e nei discorsi degli amici «sulle difficoltà che affrontano riguardo al proprio aspetto esteriore e alla propria autostima». È una sorta di Mito della bellezza ma 2.0: se Naomi Wolf a inizio Anni '90 analizzava come gli standard di bellezza e la pressione estetica generata dai mass media e dalle pratiche commerciali opprimessero le donne, oggi Atlanta, attraverso le confessioni intime sue e delle sue amiche, descrive come Instagram, gli smartphone e le procedure cosmetiche abbiano trasformato qualunque canone estetico preesistente in qualcosa di nuovo, ancora più dannoso: un sorta di autolesionismo mascherato da cura del sé.

Come la cultura della bellezza online danneggia le donne

Nei decenni scorsi, le persone venivano esposte alla bellezza idealizzata hollywoodiana, ai suoi standard irrealistici e inarrivabili, tossici e escludenti, per alcuni minuti al giorno: su un cartellone pubblicitario o sulla copertina di un magazine. Un lasso di tempo in qualche modo misurato. All'incirca dal 2010, con l'avvento e la diffusione capillare di Instagram e degli smartphone, le regole del gioco sono peggiorate: i social network bombardano in continuazione chiunque possieda un account personale, valorizzando poche, elette celebrità (e i loro visi), ma allo stesso tempo offrendo facili escamotage con cui curare il proprio aspetto, a immagine e somiglianza di suddette celeb (la posa e la luce giusta, i ritocchi che si possono apportare al proprio viso con le app di photo editing), per costruire il proprio brand personale, proprio come farebbero le star. Tutti sono spinti a conformarsi al canone da loro proposto (anche perché, chi è "più bello" viene automaticamente accettato e trattato meglio nella nostra società: come sostiene Atlanta, le donne pagano penalità di status sociale e finanziario, se non aumentano la loro attrattività e giovinezza) e tutti possono farlo. Le facce che si vedono online seguono perciò dettami ben precisi, sempre uguali fra loro, a scapito della bellezza vera, che è identitaria e personale; si parla quindi dell'era della TikTok face e di come il suo inizio non coincida esattamente con una buona notizia.

La cultura della bellezza online non ha impatti negativi solamente etici o psicologici: i suoi effetti sono tangibili anche nella fisicità della vita reale. Con un selfie poi andato virale, nel 2016, Kim Kardashian (a oggi 363 milioni di follower) rendeva famoso il cosiddetto Vampire Facial, un trattamento di bellezza che preleva un po' di sangue dal braccio e ne separa le piastrine, per poi iniettarlo nel viso. Helen Rumbelow sul Times nota che tre donne hanno contratto l'HIV in una clinica del New Mexico mentre si sottoponevano al medesimo processo. La giornalista sottolinea poi come il Brazilian Butt Lift (l'intervento chirurgico per ingrandire i glutei, anche questo diffuso dal modello Kardashian) sia la procedura più veloce per far crescere il lato b in maniera considerevole, ma anche la più dannosa: la sua popolarità aumenta del 20% ogni anno, con un decesso ogni 4 mila operazioni. Ancora, su TikTok era diventata virale la Kylie Jenner challenge, un trend per cui le ragazze miravano a ricreare le labbra rimpolpate artificialmente della socialite (399 milioni di follower), succhiando le proprie all'interno di un bicchierino, e ottenendole più grandi attraverso lividi e infiammazioni. Molte di loro ne hanno rotto i vasi sanguigni: secondo i medici, se ripetuta nel tempo, questa pratica avrebbe potuto portare al danneggiamento dei nervi.

TikTok influenza parecchio la beauty routine delle persone, talvolta fino a farla diventare un'ossessione. Jessica DeFino nella sua newsletter The Review of Beauty, parla infatti di dermorexia, termine che utilizza in modo provocatorio per descrivere «una serie di comportamenti ossessivi abilitati e incoraggiati dall'industria della cura della pelle». Dai video GRWM al marketing, tutto ha convinto le persone a credere di aver bisogno di almeno dieci step di skincare, al mattino e alla sera. L'obiettivo della cura dovrebbe essere quello di ottenere una pelle sana, ma come ha evidenziato Alice Rosati su Vanity Fair, spesso la salute viene scambiata per perfezione estetica e i beauty creator per dermatologi: «si esagera nella stratificazione dei prodotti o nell'applicazione di principi attivi non adatti alla propria tipologia di cute, si rischia di logorarne la capacità intrinseca di protezione, portando allo squilibrio del microbiota cutaneo e della barriera protettiva. Non è un caso, infatti, che siano in aumento le dermatiti, le sensibilità cutanee e l'acne in età adulta». Un fenomeno che riguarda tutti e non solo i Sephora Kids, già messi al rogo: «Gli adolescenti escogitano routine anti-età in più fasi per paura di future rughe, gli adulti si indebitano per sottoporsi a trattamenti iniettivi, uniti dalla preoccupazione frenetica e intergenerazionale per i retinoidi, gli acidi esfolianti e la ricerca di una luminosità irraggiungibile», scrive sempre De Fino.

Nell'era digitale, le richieste per modificare il proprio corpo sono in costante aumento: nel Regno Unito, vengono effettuate circa 900 mila iniezioni di botulino all'anno, con ampio margine di crescita, mentre da un sondaggio del 2019 emerge che il 68% (di 51 mila cittadini inglesi) conosce qualcuno che si è fatto il filler alle labbra. Il dato più preoccupante rilevato da uno sondaggio Mittel del 2018 è però che a spingere le persone a desiderare un intervento di chirurgia estetica sarebbe proprio l'influenza dei social media. Se la manipolazione della propria immagine attraverso la modifica digitale delle foto (ci si assottiglia le gambe, ci si dimezza la vita, ci si raddrizza il naso), è ormai una pratica standard, questa più spesso non si ferma al feed di Instagram, ma convince gli utenti a richiedere procedure cosmetiche che alterano le loro identità e conformazione naturale, per assomigliare all'immagine di sé, che vedono e mostrano online.

La stessa Atlanta ha rivelato che prima di licenziarsi, stava lavorando a un'app che presentava una serie di foto di sopracciglia, labbra e guance da donna, modellate su celebrità e ordinate in base alla parte del corpo in tendenza, in un dato momento su Instagram. Un'app che avrebbe consentito al cliente di utilizzare questa galleria di volti di influencer per acquistare botox e filler, ad esempio, sul modello del volto di Kylie Jenner. E il look della socialite, in clinica, sarebbe stato sostituito con quello dell'individuo. «Tutto è cambiato per me quando sono passata da cose come la nail art o le trecce, che riguardavano la comunità e l'espressione del sé, alle iniezioni cosmetiche e ai trattamenti invasivi», ha affermato l'autrice di Pixel Face. «Stava diventando una parte sempre più diffusa del settore. Invece di dire: "Ooh, mi piacciono le tue unghie, dove le hai fatte?", si diceva: "Da dove hai preso il tuo mento?". Avevamo inventato il nostro episodio di Black Mirror e io sentivo di viverci dentro».

Alla fine, la scrittrice ha realizzato che l'algoritmo avrebbe solamente incentivato in massa le insicurezze delle donne, incoraggiando migliaia di persone a scolpire i propri visi e i propri corpi sulla base di canoni, che sarebbero variati, diventati fuori moda, non appena l'app o l'azienda in questione avrebbe cambiato i codici per inseguire le tendenze più attuali. Un pericolo, già realtà, per ogni individuo di genere femminile. La cosa ancora più sconcertante, secondo l'autrice, è che si accetta, e si celebra, l'imposizione di beauty standard dannosi per tutte le donne, comprese le celeb, in nome di un famigerato empowerment (una donna che li promuove e guadagna attraverso tali trattamenti è considerata una persona di successo), o di pratiche, perlopiù ingannevoli, spacciate come atti di self-care quotidiano.

Mentre Atlanta cresceva con sua madre, una stilista, in un villaggio nel Leicestershire, la moda era puro gioco: creare combinazioni di abiti e tingersi i capelli di rosa. È stato solo quando ha avuto accesso ai social media, a 15 anni, che ha sperimentato il suo lato più oscuro, qualcosa che la generazione di sua madre non riusciva a capire. Nel corso dei suoi studi, ci sono state delle bambine di otto anni che le hanno detto: «Non esco più di casa dopo la scuola perché non voglio che la gente debba vedere la mia vera faccia». Esponendo la tossicità della beauty culture al giorno d'oggi, il libro di Ellen Atlanta narra cosa significhi veramente esistere in quanto donna al giorno d'oggi e diventare grandi nell'epoca digitale.

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