IL CARICO MENTALE DELLE DONNE è IL BURNOUT DOMESTICO CHE LA SCIENZA NON HA ANCORA RICONOSCIUTO

"Le donne sono multitasking" è una delle frasi più furbette mai coniate nella storia dell'umanità. Sotto la glassa del complimento, nasconde infatti un invito a prendersi carico di sempre più incombenze, giustificandolo con una presunta predisposizione femminile genetica a fare un milione di cose. Contiene pure un filo di malevole sottinteso, una sorta di "se a te non riesce non sei una vera donna, non una come quella santa di mia madre che teneva tutto sotto controllo in casa". Il risultato è che ogni donna che decida di mettere su una famiglia, si ritrova a gestire il lavoro fuori casa, i figli, il marito, i genitori anziani, magari anche qualche componente della famiglia disabile, spesso persino i suoceri anziani quando il marito non ha sorelle che se ne prendano cura, e a eseguire tutte le azioni necessarie in contemporanea, come una giocoliera. Risultato: la psicoterapia comincia a interessarsi al carico mentale delle donne, che si riflette su corpo, lavoro e relazioni e che persiste anche quando ad avere bisogno di cure sono proprio loro, le donne stesse. Una sorta di burnout domestico su cui bisogna volgere lo sguardo. Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Chiara Maddalena, psicologa e psicoterapeuta all’Ospedale Santa Maria di Bari, che ha una visione diversa del problema.

Le pazienti in condizione di sovraccarico mentale che si presentano da lei, sono consapevoli di esserlo o chiedono semplicemente aiuto, lamentando un disagio psicologico di cui non capiscono la causa?

Cominciamo col dire che il sovraccarico mentale non rientra in alcuna categoria nosografica descritta nei manuali; è fondamentale dirlo perché corriamo il rischio di dare delle "isteriche" a donne che, semplicemente, vivono delle difficoltà socialmente e culturalmente determinate dal mondo in cui vivono e in cui ci si aspetta che gesticano molteplici ruoli e responsabilità, e dalle relazioni in cui sono inserite. Il carico mentale pesa sulle donne quanto sugli uomini, ma ne faccio un discorso culturale perché in Italia la condizione femminile ha delle particolarità rispetto a quella maschile. Io mi occupo di salute al femminile perché sono inserita all’interno di una breast unit (un centro multidisciplinare di senologia che riguarda il percorso di diagnosi, cura e assistenza delle donne con tumore al seno, all’interno di un ospedale, ndr), ed effettuo le visite con cui cerco di dare supporto in un delicato frangente di vita come quello della diagnosi oncologica, che si aggiunge al carico mentale già esistente. Ma in particolare, è quando faccio consulenze in ambulatorio con pazienti che richiedono una psicoterapia, che arrivano da me donne con un malessere rispetto al quale non riescono a identificare la causa. In quei casi, allora, cerchiamo di fare chiarezza e di inquadrare il disagio nel contesto di vita della donna.

Come psicoterapeuta, può dirci se davvero le donne hanno la vocazione genetica all’accudimento che gli viene attribuita tradizionalmente?

Io penso che è un conto sia la genetica, un conto l’assegnazione biologica di un sesso alla nascita. Che un conto sia il genere, un altro il ruolo di genere. Dobbiamo distinguere bene questi due aspetti. Il ruolo di genere e qualcosa che gli studi oggi ritengono sia culturalmente e socialmente costruito dalle pratiche culturali ed educative, dai contesti che abitiamo.

Tant'è vero che un’indagine di qualche anno fa provava che la stragrande maggiornaza degli uomini, quando vivono da soli sono perfettamente in grado di svolgere tutte le faccende domestiche, ma smettono di svolgerle se vanno a vivere con una donna...

Ecco, io su questo con le donne ci lavoro tanto da un punto di vista clinico. Gli uomini sono bravissimi a delegare perché, a livello culturale, sono stati educati a farlo. Tutti si prodigano in complimenti agli uomini che collaborano alle faccende domestiche, che sanno caricare e avviare la lavastoviglie, e di un uomo che si prende cura dei figli si sente dire che è un "mammo". È una cosa da far rizzare i peli sulle braccia, perché se tutto questo lo fa una donna è considerato del tutto normale. Ma la normalità è un concetto statistico, ricordiamocelo. Dall'altro canto, noi donne dobbiamo invece stare attente quando utilizziamo una serie di attività come strumento di potere e di controllo nell’ambito della famiglia. Cioè, siamo noi stesse ad autosabotarci, e purtroppo questo lo osservo spesso. Di queste dinamiche è importante parlarne per indirizzare verso il cambiamento, o perlomeno verso una presa di consapevolezza di quello che accade all’interno dei nostri contesti di vita.

In effetti, tutti abbiamo avuto in famiglia donne di ogni età, soprattutto le nostre mamme e nonne, che non hanno mai permesso a nessuno di fare le faccende al loro posto, ti danno l'idea che si sentirebbero inutili, inadeguate...

Quanto, inconsciamente, noi donne cerchiamo di guadagnarci il diritto all’esistenza? Se non ci occupiamo di tremila faccende familiari e domestiche non ci sentiamo realizzate nel nostro "essere donna". Questo si sta aggravando nella nostra epoca, perché ora ci viene richiesto di essere anche eternamente giovani, bellissime e attraenti, professionalmente rampanti, geishe in famiglia, cuoche perfette, super sportive in palestra, mamma ideali...

... e tigri a letto.

Ehi sì! Anche brave a letto. Per non parlare degli interventi estetici a cui si sottopongono le donne per poter stare al passo con modelli estetici irrealistici. Quante donne ti dicono “l’ho fatto per mio marito“? Poi però, lavorando in senologia, una duelle cose che mi fanno piangere il cuore è sentire donne che vengono operate di cancro alla mammella e che avevano rimandato i tempi le visite perché dicono che dovevano badare ai genitori anziani, ai figli, i mariti, che non c’erano i soldi. Come se la cura del sé non fosse una priorità.

Quando lei si trova davanti una donna che sembra non essere cosciente di avere un carico troppo pesante sulla schiena, come agisce?

Ho un approccio psicodinamico, non sono una terapeuta che dà consigli, anche perché credo non sia il mio ruolo. Penso che il ruolo della psicoterapia non debba essere un continuo spingere il paziente verso obiettivi o richieste, anche realistiche. Credo che il mio lavoro consista nel fare un esame della realtà, nell'analizzare la situazione, analizzare la problematica per valutare se c’è la necessità di fare un percorso terapeutico. Non necessariamente questo si configura all’interno di una consulenza psicologica, quello che va valutato è sicuramente la struttura della personalità della persona aiutata. Per capirci con un'analogia, se arriva una bomba d’acqua e ho il tetto di paglia, il rischio che il tetto crolli è alto. Se invece la struttura è forte, si reagisce meglio agli urti. La psicoterapia può fare tanto per far stare meglio le persone, ma con ragionevolezza. E ci vuole tempo.

Se il problema di una donna è ha già quello di non avere tempo da dedicare a se stessa, come fa a trovarne per seguire una terapia?

Un classico. Mi dicono "non ho tempo di venire in psicoterapia". Ovviamente, la psicoterapeuta non ha la bacchetta magica, così come non ce l’ha la paziente. Ma le faccio presente che la richiesta è sua, che se lei vuole, io mi metto a disposizione e l’accompagno in questo percorso, fissiamo delle sedute, ma bisogna garantire costanza. Se vuoi dimagrire devi seguire una dieta, se vuole andare in palestra per ottenere dei risultati, ci deve andare sempre, altrimenti aumenta la frustrazione e l’autostima cala picco. Il patto di alleanza con la paziente è fondamentale, se non c’è quello non si va da nessuna parte. Poi ci sono quelle che fanno una seduta, si sfogano e finisce così. Posso anche fare da ricettacolo del momento per le ansie e le paure, per le insicurezze e le frustrazioni della paziente. Ma per lavorarci è necessario prendere un impegno, è un investimento reciproco. In psicoterapia, i cambiamenti non sono magici e miracolosi.

Proprio pochi giorni fa la presidente di Telefono Amico diceva a noi di MarieClaire.it che spesso ricevono delle e-mail in cui le persone si sfogano, ma poi non leggono la risposta che loro gli inviano.

Uno sfogo fine a se stesso, dove l’altro non esiste. Se neanche leggi il messaggio, è come lanciare una pietra nel mare. Se non hai interesse a capire cosa l’altro ti restituisce, e come se l’altro non lo vedessi, creando disagio nelle relazioni. Queste donne lanciano richiesta di aiuto, ma restano inefficaci perché si sentono "non viste". E anche l’altro finisce per non vederle più.

Come quando si dice che se non ami te stessa, sarà difficile che ti amino gli altri?

Aggiungo: se tu non ti ami, poi non ci credi che ci sia un altro pronto ad amarti, che abbia questa disponibilità. Sei tu, vedendo le cose attraverso le tue lenti, che quella disponibilità non te la concedi.

Se la paziente trova il tempo e dà la sua disponibilità a seguire una terapia, lei come si muove?Dipende dalla richiesta della paziente. Il percorso non lo scelgo io, lo sceglie la paziente. Io la accompagno facendole vedere gli ostacoli, i limiti, sostenendola quando cade. Ma la scelta è sempre sua. Wilfred Bion, uno dei padri della psicodinamica, diceva che bisogna approcciare il paziente "senza memoria e senza desiderio". Dobbiamo ricordarcelo sempre, altrimenti corriamo il rischio di manipolare il percorso delle persone che ci chiedono aiuto. Credo che, come ho detto all’inizio, non essendoci alcuna categoria diagnostica riguardo al carico mentale delle donne, la prevenzione vada fatta a monte. Ovvero, occupandosi di migliorare le condizioni di vita delle donne, occupandosi delle cause, non delle conseguenze. Nel frattempo, pensiamo alle conseguenze, per questo esistono gli psicoterapeuti. Sapere che si può chiedere aiuto a qualcuno è ancora fondamentale per tutti.

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